A molti il nome Michael Stuart Ware, non dirà nulla. Per il sottoscritto (e per tutte le altre persone che sono rimaste stregate dalla magia degli album dei Love e continuano ad ascoltare, sempre sorpresi e meravigliati, Forever Changes) lui è IL batterista dei Love e il suo nome è quasi sacro, legato a un concetto di musica più alto e nobile di quello che oggi siamo soliti contemplare. Questa intervista, realizzata nel 2002 poco dopo la pubblicazione del suo libro Pegasus Carousel (per la Helter Skelter) è una buona occasione per scoprire qualcosa in più sulla meravigliosa avventura musicale del gruppo di Arthur Lee.
Come hai preso la decisione di scrivere il libro? Puoi parlarci del making of? E’ stato un compito difficile, raccogliere e organizzare tutti i tuoi ricordi di riguardo la vita nella band, i concerti, le sedute di registrazione e metterle su carta…
Nell’agosto del 1998, io e Bryan fummo intervistati a Los Angeles da Kevin Delaney. Lui stava per scrivere un libro sui Love ed era ancora nella fase di raccolta delle informazioni, così per un giorno intero siamo stati in giro e gli ho mostrato alcune delle case dove vivevano i vari membri del gruppo raccontandogli un po’ di storie su cose che erano accadute lì dentro.
Quando sono tornato a casa, e per i successivi sei mesi, Kevin mi ha mandato le copie delle interviste fatte a persone collegate alla realizzazione sia di Da Capo che di Forever Changes (membri dello staff dello studio, ingegneri del suono e così via) per farci rinfrescare la memoria su altre cose che potevano essere successe. Rimasi sorpreso di trovare degli errori su chi suonava in questo o quel pezzo di entrambi gli album e qualche altra inesattezza… ricordo che ero felice di sapere che Kevin stesse scrivendo il libro, perché io e Bryan, attraverso le nostre interviste, saremmo stati capaci di mettere le cose in ordine e correggere le storture.
Dopodiché, il giorno di natale del 1998 Bryan morì. Poco dopo Kevin mi disse che aveva avuto problemi nel trovare un editore e avrebbe accantonato il progetto. Rimasi talmente deluso da questa opportunità che stava scivolando via, che mi lanciai una sorta di sfida: quella di prendere in mano la situazione e scrivere io il libro. Mi domandavo se avrei potuto farlo e l’unico modo per saperlo con certezza era provarci. Cosi l’ho fatto.
Molti dei ricordi delle registrazioni erano freschi come se fossero stati del giorno prima, altri fluirono più lentamente. Per esempio, su Forever Changes mi sono ricordato che Jim Gordon fu chiamato per suonare la batteria perché stavamo avendo dei problemi a mettere giù le basi. Alla Elektra non piacque il suono ottenuto dai session-men, cosi Kenny, Johnny, Bryan ed io fummo richiamati: finimmo per incidere tutte le tracce strumentali ad eccezione di “Daily Planet”. Quando a Bruce Botnick fu chiesto chi aveva suonato la batteria su “Planet”, lui rispose: “Hal Blaine”. Un errore comprensibile, ma pur sempre un errore. Jim Gordon era il batterista di studio e suonò la batteria su quella traccia.
Ricordo che Carol Kaye suonava la chitarra su “Daily Planet”: era stata chiamata per suonare il basso, ma quando Kenny gli stava mostrando il tipo di cose che secondo lui lei doveva suonare per ottenere il sound originale dei Love, Arthur lo sentì e gli disse di andare avanti e di suonare il basso sul brano. Cosi abbiamo dato a Carol Kaye una parte di chitarra…
a lei non piaceva molto suonarla.
Correva voce che Arhtur avesse suonato la batteria su “Laughing Stock” per via di quel verso che cantava: “…I keep on playing my drums”: in realtà ho suonato io la batteria su “Laughing Stock” e “Your Mind and We…”. Quando Arthur scrisse quella parte penso parlasse metaforicamente (lo spero!), perché suonò la batteria solo su poche tracce nel primo album, prima che mi unissi al gruppo.
Ho letto sul tuo sito che l’edizione su cd-rom è sold-out e ora sta per uscire una versione stampata: ti aspettavi tutto questo riscontro?
Quando avevo quasi finito il libro, iniziai a contattare alcuni degli editori più mainstream per vedere se qualcuno voleva pubblicarlo. Non fui sorpreso di scoprire che non c’era molto interesse: Kevin mi aveva già detto che era un brutto periodo per le biografie rock d’ogni tipo. Per di più non è che fossimo un gran nome come i Beatles o gli Stones. Cosi ho pensato: “Bene, metterò il testo del libro su dei cd e lo venderò su Internet”. L’ho fatto per 18 mesi o giù di lì, prima di fare l’accordo di pubblicazione con la Helter Skelter, in Gran Bretagna. Non avevo nessun preconcetto né aspettativa di successo riguardo al libro e ancora non li ho. Volevo solo usarlo per rispondere a qualche domanda sul gruppo e chi ci gravitava intorno.
Molti ragazzi come me sono appassionati di musica e cultura dei Sixties: so di chiederti molto, ma mi potresti descrivere in poche parole i tuoi anni Sessanta?
La cultura d’ogni periodo e la sua musica non sono mai state così vicine e collegate nei Sixties. E’ questo a renderli un periodo speciale. Era un momento di cambiamenti sociali come il mondo non aveva mai visto e la musica pop rifletteva questi mutamenti. L’ apice della creatività per scienziati sociali come i Beatles o Bob Dylan furono i Sixties… e la loro radiocronaca portata attraverso gli orrori della guerra del Viet-nam, e la ricerca delle persone normali di essere membri di una società di pace e amore, aiutò a indirizzare la loro musica.
Prima di unirti ai Love, tu avevi suonato con il grande chitarrista Randy Holden in un gruppo chiamato Sons of Adam: perché hai lasciato la band? Ho un disco con una loro versione di “Man you’re better man than I”: ci hai suonato tu?
I Sons of Adam erano un grande gruppo. C’erano delle sere in cui pensavo fossimo il migliore gruppo rock al mondo. C’è un certo progetto mentale che i gruppi possono sposare e cose incredibili possono succedere: i Sons of Adam erano così. Randy Holden era (ed è ancora) un chitarrista d’incredibile talento, veloce più della luce, un maestro nel disegnare ambienti sonori.
Il nostro bassista Mike Port era veloce ed assolutamente grande. Aveva un’incredibile presenza sul palco. Poteva ballare bene come Mick Jagger e suonare il basso allo stesso tempo. E poteva picchiare ragazzi grossi il doppio di lui, senza versare una goccia di sudore o cambiare espressione.
Registrammo una versione di “Man you’re better man than I” nel ’65. Fu trasmessa un po’ per radio, ma non fu una hit. Una volta, dopo che ero diventato il batterista dei Love, Johnny Kenny ed io eravamo in un negozio fra Reno e Tahoe durante una pausa nelle fermate del tour. Cosi Kenny disse: “Vediamo se uno dei nostri dischi è nel juke-box”. Andammo a guardare, ma non c’era nessun disco dei Love. Ma cosa c’era nel juke-boxe, nel mezzo del deserto del Nevada? Ironia delle ironie, la versione dei Sons Of Adam di “Man you’re better man than I”. Ho sempre pensato fosse fico. Bryan e Arthur mi hanno visto suonare con i Sons una volta al Bido Lito’s a Hollywood e quella sera stessa Arthur mi chiese di unirmi ai Love. Cosa che feci un paio di mesi dopo.
Tu hai suonato su Da Capo e Forever Changes: puoi descriverci le differenze in termini di atmosfera e mood durante le registrazioni dei due dischi?
Forever Changes fu registrato ai Sunset Sound, con Bruck Botnick come ingegnere, come nel primo album. Ci furono problemi fin dal primo giorno. Le prove furono poco più che jam, così non avevamo imparato le nostre parti come avremmo dovuto. Non ci aiutò certo che alcuni membri del gruppo stessero sperimentando con l’eroina. L’etichetta quindi chiamò dei sessionmen, ma non furono capaci di ottenere un suono accettabile. Così ci prendemmo qualche settimana, provammo duramente, tornammo e registrammo l’album. Arthur non suonò nessuno strumento su Forever Changes. Kenny, Johnny, Bryan ed io facemmo tutte le tracce base eccetto quelle di “Daily Planet” (conservarano la versione con i musicisti di studio); Arthur stava in regia e dava suggerimenti a Bruce sul bilanciamento e i volumi e produsse l’album. L’atmosfera era molto più tesa rispetto a Da Capo. Non ci si divertiva molto.
Sono sicuro che tutti ti parlano della grandezza e della maestosità di Forever Changes (è anche uno dei miei album preferiti), ma qual era l’opinione dei ragazzi del gruppo, dopo che l’album fu pubblicato? E perché, sempre secondo te, dopo 35 anni questo disco è ancora così amato dal pubblico?
Quando uscì non fece grande impressione. Penso di aver sentito “Alone again or” qualche volta su una radio fm locale… questo è tutto. Non sono sicuro su cosa provassero gli altri ragazzi della band, ma per me il disco era destinato al fallimento. E, infatti, per anni fu ignorato. In seguito, occasionalmente, mi capitava di sentire qualche canzone tratta dall’album su stazioni di musica easy-listening nell’area di Los Angeles o Seattle, quando vivevo lì. Quando andammo in tour (dopo che l’album fu terminato), nessuna richiedeva canzoni da Forever Changes, così non suonammo mai quei brani dal vivo.
Sembrava che nessuno fosse interessato al disco. Ma nel corso degli anni l’entusiasmo è cresciuto gradualmente, sempre di più, fino a quando non ha cominciato ad apparire nelle classifiche dei migliori dischi di musica pop. Ho sempre detto che Arthur e Bryan scrivevano musica per le generazioni future. E penso che il successo postumo di Forever Changes lo abbia dimostrato.

Link:
www.pegasuscarousel.com
http://youtube.com/michaelstuartware
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