Victor Bockris – Transformer, la vita di Lou Reed (Arcana, 2007)
Victor Bockris è una specie di Bruno Vespa del giornalismo musicale, un traffichino sardonico con le mani in pasta ovunque, uno che ne ha viste di tutti colori. In poche parole uno che rimesta nel fango più fangoso, riportando le mille e una trama – con tanto di complessi intrecci – legate a vicende e personaggi rock.
Detto ciò: chi è il più fangoso, intrigantemente contorto, poliedrico, multipersonality, refrattario come due lenti a specchio e transformer di un rocker come Ludwig van Reed?
Insomma, è come se due bombe a orologeria avessero un rendez vous sulla 5th Avenue e si trastullassero sciorinando tutto l’almanacco rock dalla A alla Z, a suon di elettroshock infantili agli albori della controcultura americana, anni sprecati alla Syracuse University e l’incontro con il poeta-guru Delmore Schwartz. E poi il fertilissimo periodo di Sua Maestà Warhol nella sua onnivora macelleria di talenti (la Factory), i beatnik, il free jazz di Ornette Coleman, l’incontro con l’intellighenzia avanguardista di La Monte Young e del figliol prodigo gallese John Cale, i seminali Velvet Underground, il sadomasochismo con la sua musa Nico femme fatale, l’istrionismo drogato e narcisista di un Lou solista, gli anni bui e disperati di Berlin, il bisexualismo con il Duca Bianco (produttore del capolavoro Transformer), l’eroina, la pelle flaccida del rock and roll animal metà anni Settanta, la devianza psicotica ma commerciale di “Sally can’t Dance”, la schizofrenia rumorosa di Metal Machine Music, il mormorio continuo morboso e schizoide dei suoi genitori – una specie di guinzaglio celebrale male allacciato con cui Mr Reed dovrà sempre fare i conti. Ché in fin dei conti, secondo il Reed-pensiero, la sua famiglia ha i connotati nefasti (ma solo un po’ più borghesi) della Manson family.
Tutta questa insalatina russa – o meglio newyorkese, preferibilmente di Coney Island – inframmezzata da interviste al limite dell’ impossibili tra Lou e William Burroghs, lo sbeffeggio di critici e i musicisti del settore (esilarante e grottesco in tal senso il rapporto amore-odio con l’indimenticato Lester Bangs) e altri svariati aneddoti sadomaso, o le cattiverie verso colleghi celebri quali Jim Morrison o la stessa Nico. Avventure e disavventure amorose fino alla stabilità trans gender con la celebrale musicista Laurie Anderson e – infine – il Lou Reed rugoso, riflessivo, cameo-man di tanti film esistenzialisti e grotteschi come la sua vita ineffabile, fluttuante, transformer.
Forse coniare l’aggettivo “reediano” o “à la Lou Reed” in ambito dell’antropologia/sociologia metropolitana non sarebbe così inappropriato, dato il personaggio che ha letteralmente ridisegnato le architetture mentali del rock and roll e del modo di comportarsi nei villaggi (possibilmente degradati e marginali) urbanizzati di questo pianeta.