Nick Cave – Re Inkiostro I (Arcana, 1990)
“Sono rimasto un pò deluso dello… spessore. Di quanto sia esiguo.
Pensavo di aver scritto molto di più!
Mi dà l’impressione di aver passato anni a cincischiare”
(Nick Cave)
Nel 1988 vide la luce King Ink, raccolta di testi e scritti vari di Nick Cave, prontamente tradotta – due anni dopo – sotto l’egida di Alberto Campo per Arcana Edizioni.
E’ strano per un’artista tout court cominciare un processo di parodia e autocritica già da così giovane, non fosse che il personaggio in questione, Mr. Caverna, col concetto di giovane ha sempre avuto poco o niente da spartire, connotati somatici compresi.
La sub-creatura australiana – che ha avuto tra le sue ossessioni quella della grafomania – pensò bene di fare un punto della situazione, giunto dopo burrascosi e tormentati approdi artistici verso la trentina, e buttar giù (nel senso di “liberarsi catarticamente di”) scorie e allucinazioni raccolte coi selvaggi Birtday Party, sceneggiature teatrali mai sceneggiate con o senza “lingua di seprente” Miss Lydia Lunch, opinioni di schizo-lucidità sulla new wave anglosassone, aborti di cortometraggi onanisti.
I semi del male sparsi in un pugno di pagine, il tutto centrifugato in una lavatrice al vetriolo che imprime sui panni/pagine disegni, appunti, impressioni, cancellature e sottolineature da scolaretto ribelle e automutilato, in preda a un puro lirismo nichilista.
A distanza di anni, quello che potrebbe sembrare un diario maledetto o un ammutinamento esistenziale risulta – in maniera grottesca e paradossale – un premeditato oggetto di marketing adolescenti asociali o, almeno, un gesto di megalomania mistica studiata a tavolino. Oltremodo giustificata considerando lo spessore del personaggio, sia chiaro!
L’autoreferenzialità di Re Inchiostro sfila i panni a un Re compiaciuto di esser Nudo (Nick the Stripper), di esser un tossico fasciato di un ego smisurato (più forte della medesima dipendenza da eroina che sconfiggerà a piacimento nel corso degli anni), di coltivare ossessioni mistiche e suicide messe a tacere con la scrittura, di covare depressioni e decadenze teutoniche spolverate e stirate sotto il sole di Sao Paulo. Inquietudini sistemate -poi – con l’avvento di una solida famiglia.
La contraddizione di fondo, che rende questo libro un Vangelo per gli aspitanti rocker, è che ciò che ispira una liturgia lirica di testi per canzoni uccide. Ciò che ti redime in seguito, al contrario, sembra ucciderti all’inizio.
E’ implicito che questo libro non sia un testamento definitivo di Mr. Cave, ma soltanto un passaggio verso la luce, la redenzione, un processo creativo ed esistenziale molto simile a Mr. Zimmerman.
Senza la maledizione che lo accompagna, Nick Cave non avrebbe conosciuto l’ispirazione che l’ha salvato e portato a essere l’uomo sobrio di oggi. Con il Vecchio Testamento in una mano e un pugnale dall’altra è sicuramente un poeta romantico ancor prima che un musicista o performer.
Un diario romantico di nomadismo esistenziale, ecco cos’è questo Re Inchiostro; ma a differenza di Una stagione all’inferno, in cui Rimbaud fece di una stagione la vita, Cave ha modo di sopravvivere e di spargere altro inchiostro di semi maledetti.
"Mi piace":
"Mi piace" Caricamento...