Subsonics – In The Black Spot (Slovenly, 2012)
Mi preoccupo un po’ anche se faccio finta di niente. Perché mi rendo conto che l’età avanza e non fa sconti a nessuno, men che meno a me. Ad esempio il fatto che io abbia impiegato circa tre brani a capire che i Subsonics sono praticamente i Velvet Underground degli anni Dieci (si dirà degli anni dieci? Credo di sì, ma che cazzo, era tutto più facile nel secolo scorso, insomma…) è indicativo del mio declino.
All’inizio ho pensato: “Mah… che roba fanno questi? Un po’ troppo allegrotta”. Poi sono passato al “Beh, però son bravi dai”. E alla fine, mentre buttavo via una borsata di plastica nell’apposito contenitore sono rimasto folgorato, con le mutande in testa e i calzini nelle orecchie… “Questi sono i nipotini Velvet Underground”. Punto. Nel bene e nel male – nel senso che la somiglianza è quasi sconcertante.
Hanno tutto, compreso il cantante che sembra Lou Reed e ne ha il medesimo tono di voce bizzarro. Uguale dico, non simile. Uguale. E poi c’è la batterista che si potrebbe chiamare Moe Tucker senza problemi e suona nel medesimo modo tribale, praticamente senza usare i piatti.
Insomma, avete capito bene, spero – altrimenti vuol dire che mi cadete sulle basi. Questo è protopunk newyorkese anni Sessanta, con quel tipico sound elettrico ma pulito, melodie un po’ pop e a tratti country, ma livore e cupezza tossici a infettare il tutto.
Rispolveriamo gli occhiali da sole notturni, i giubbotti di pelle, i coloriti verdastri, le nausee da roba e le bocche impastate dagli psicofarmaci. Sono sempre utili…
Jack Rollins
/ agosto 15, 2013Identici. Pure nei titoli delle canzoni ho riscontrato evidenti citazioni a Lou e soci.