Un ascensore per gli anni Novanta

Love In Elevator – Il giorno dell’assenza (Epic&Fantasy Music/Go Down Records, 2010)

Figli della gioventù sonica di metà anni Novanta, unitevi e copulate. Possibilmente in ascensore, come suggeriscono da ragione sociale i Love In Elevator.

I Marlene Kuntz di Catartica, gli Afterhours di Hai paura del buio? sono per me un piacevole ricordo di quando, adolescente o poco più, sognavo il mio Eldorado di stupefacenti e scopate insieme a un manipolo di dannatissimi sfigati come me. Poi il lavoro, le responsabilità, l’amore stabile, il normalizzarsi delle cose hanno rimesso tutto a posto. Per questo, quando arrivarono i Verdena, per me erano già fuori tempo massimo; ero passato ad altro.

Ma la musica, come i fatti della vita, è ciclica. Per cui, quando ho avuto tra le mani questo Il giorno dell’assenza, ho saputo tornare sui miei passi, analizzare tutto con mente più lucida, sgombra da inutili e dannosi pregiudizi; e sono riuscito, quindi, ad apprezzare la proposta del terzetto composto da Anna Carazzai, Christian Biscaro e Roberto Olivotto. I quali, bisogna dirlo, possiedono ulteriori frecce al proprio arco che non siano le affinità stilistiche con i gruppi citati sopra: una vena psichedelica parecchio pronunciata, ad esempio, che fa schizzare in orbita un pezzo come “Dune”, dalla progressione vorticosa degna delle migliori cose dei Motorpsycho di Timothy’s Monster (ancora gli anni Novanta); un bel taglio stoner, ascoltare per credere “Bulletto”: basso ultradistorto che fa da tappeto a una chitarra che sembra uscita dritta dritta da Vincebus Eruptum; una buona capacità di dilatare i brani per poi farli esplodere gettandoli in turbinosi crescendo strumentali (la parte centrale di Mancubus, pura furia stoner-psych).

Infine, è apprezzabile anche il timbro della Carazzai, che contrasta la generale ruvidezza del suono con eteree linee vocali che rimandano a gruppi shoegaze tipo Slowdive e Asobi Seksu.

Convincono di meno, invece, quando si avvicinano troppo a certe cose dei Verdena (“Mata Hari”, “Messalina”).

Insomma, tutto sommato a me sono piaciuti; ci sanno fare, i ragazzi.

Si esce vivi dagli anni Novanta?

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