Alla scoperta di un personaggio davvero speciale, che fa musica altrettanto speciale da diversi decenni coi suoi Vietnam Veterans e i progetti paralleli. Un “veterano” di nome e di fatto, che se ne fotte di tutto e tutti
di Andrea Valentini – pubblicato su “Sottoterra Magazine” nel 2015
Quello dei Vietnam Veterans è un nome che i fan più attenti del garage revival e del rock’n’roll europeo conoscono bene. Ma questa band, oggettivamente, nonostante una serie di dischi ottimi e usciti nel “periodo giusto” (non è gente saltata sul proverbiale carrozzone, per intenderci) è in pratica confinata allo status di cult band e leggenda minore, una sorta di deliziosa curiosità da gustare e di cui gongolare con la cerchia degli amici più appassionati. Insomma, dei veri rock’n’roll loser che facevano – e continuano a fare, imperterriti dal 1982 – grande musica che pochi si filano. Il loro ultimo album, uscito nel 2014, per esempio, è in pratica un’autoproduzione e non è distribuito – il che significa che per averlo bisogna contattare direttamente il gruppo o la label (che è di proprietà di Lucas Trouble, il tastierista storico dei Vietnam Veterans).
Il deus ex machina del progetto Vietnam Veterans, fin dal primo giorno, è Mark Enbatta – all’anagrafe Marc Labat – che della band è cantante, chitarrista e principale songwriter. Dal 1983 al 1988 i Vietnam Veterans, sotto la guida di Enbatta, hanno inciso quattro album in studio (più un live e una raccolta di outtake – e non dimentichiamo il demo su nastro del 1982), fra cui Ancient Times, probabilmente il capolavoro assoluto della band. Poi lo scioglimento che – e come poteva essere diversamente? – fu una faccenda bizzarra e atipica, visto che diversi componenti del gruppo continuarono a lavorare assieme (vedi il progetto Vietnam Chain); per Enbatta si aprirono anche uno sprazzo di carriera solista (un solo album, intitolato Hidden Passions, del 1988 su Music Maniac) e una sorta di nuovo inizio con i Thyrd Twin – due esperienze che si rivelarono, però, una meteora fugace.
Nel 2005, quasi a sorpresa, tornò il nucleo principale dei Vietnam Veterans in una nuova band – ottima peraltro – che si faceva chiamare The Gitanes e sfornò un paio di album a cui si deve, fondamentalmente, la scintilla di combustione per la rinascita del gruppo originale.
Insomma, è una storia complicata e poco nota. Oscura e fascinosa, come la musica di Enbatta – con cui abbiamo scambiato quattro chiacchiere per fare il punto della situazione.
Mark, cominciamo dall’ABC, se ti va… quanti anni hai? Dove vivi? Hai famiglia?
Ho 61 anni e vivo in Francia – Borgogna, per la precisione. Sono nato nel sud del Paese, ma la vita mi ha portato qui… diciamo che la mia famiglia è un’entità piuttosto complicata da spiegare! Ho quattro figli (rispettivamente di 32, 30, 13 e 9 anni), ma sorvoliamo su tutto il resto… al momento vivo con la madre dei due più giovani.
Raccontami dei tuoi approcci con la musica: come ti sei avvicinato al rock’n’roll? Quando hai iniziato ad ascoltare e comprare dischi? E quando hai messo su la tua prima band?
Sono stato molto fortunato all’inizio degli anni Sessanta. Avevo due cugini più grandi che ascoltavano tutta la roba più cool che c’era in giro. Erano fan dei Beatles. Avevano persino le tendine dei Beatles, le lenzuola dei Beatles… tutto. Il mio primo gruppo preferito sono stati gli Animals e poi sono arrivati i Them. Grandi voci ed emozioni a mille. Questa è la roba che più mi piace! Gene Vincent, Otis Redding… da ragazzino potevo solo permettermi di comprare gli EP e i singoli. Tutti i miei LP erano regali che mi arrivavano dai cugini! Poi in seguito mi sono comprato tutti gli album che all’epoca avrei voluto prendere, ma non avevo potuto. Ho cominciato a cantare nel 1967. Facevo cover della Stax, di James Brown e un po’ di beat anni Sessanta. Poi ho suonato il basso in un complesso r&b. E ho iniziato a suonare la chitarra nel 1969… nel 1970 ho messo su un vero gruppo psichedelico: è stato il primo in cui ero l’autore principale e il leader. Ma non durò molto, perché il nostro batterista finì in galera accusato di rapina a mano armata per finalità eversive!
I Vietnam Veterans hanno, senza il minimo dubbio, un’identità speciale e sono molto riconoscibili per via del loro sound unico. Come siete arrivati a tutto ciò? È stato un procedimento fatto di tentativi o è semplicemente successo per via delle rispettive influenze e idee?
Il nostro sound deriva dalla mescolanza – che penso sia uno degli elementi più vitali del rock’n’roll. Non ho mai cercato musicisti che avessero gusti affini ai miei: penso sia noioso e non conduce in alcun posto… io porto agli altri i miei brani in versione minimale e poi ognuno li veste come preferisce! Funziona sempre. L’unico problema si presenta quando arriva qualche nuovo musicista nel gruppo: di solito non sono abituati a questo modo di lavorare e cercano di adattarsi, di copiare quello che si fa. E io devo dir loro di suonare semplicemente nel modo più spontaneo, come sentono di voler fare. E non tutti ci riescono… io voglio che tutti capiscano a fondo e trasmettano il feeling delle canzoni, che sono molto personali e intime… pezzi in cui ci si mette a nudo! Io quando scrivo non nascondo nulla e i pezzi diventano ciò che sono perché tutti noi che li suoniamo condividiamo delle emozioni nel farlo, magari con coloriture e sfumature diverse. In questo gruppo non c’è nulla di proibito!
I Vietnam Veterans hanno iniziato nella prima parte degli anni Ottanta: come era la scena dalle tue parti allora? Riuscivate a suonare abbastanza live? Vi sentivate parte di una scena rock/garage?
Verso la fine degli anni Settanta ero ben inserito nella scena di Lione… là ho suonato con molte persone, ma non abbiamo mai combinato nulla, perché quei gruppi non erano esattamente ciò che andavo cercando. All’inizio degli anni Ottanta nella mia città, invece, non c’era alcuna scena. Io avevo un negozio di dischi all’epoca e poco dopo ho fondato i Vietnam Veterans con un amico con cui già suonavo negli anni Sessanta. Nessuno suonava quello che facevamo noi allora. C’erano solo i Dogs e gli Snipers con gusti simili, ma facevano un tipo di rock differente… più blando, direi. Noi eravamo gente pazza! Non suonavamo molto, ma sempre in belle situazioni.
La scena francese sotterranea anni Ottanta era molto buona. Purtroppo sono riuscito a imbattermi in alcune band eccellenti solo anni dopo – negli anni Novanta – ma mi hanno tutte fatto scoppiare il cervello (band tipo Real Cool Killers, Cherokees, Parabellum, Vietnam Veterans ovviamente…). Insomma, per gente come me che non c’era – per motivi geografici e in parte anagrafici – sembra che il giro fosse molto vitale e in fermento. Era davvero così?
Negli anni Ottanta ci sono state molte band francesi ottime. La maggior parte le ho viste dal vivo e ho venduto i loro dischi nel mio negozio. Sfortunatamente non abbiamo mai suonato con nessuna, anche perché noi ci esibivamo soprattutto fuori dalla Francia. Conoscevamo molti musicisti francesi, ma alla fine eravamo in contatto soprattutto con gente straniera. Dal primo giorno, in negozio, il 90% dei dischi venduti è stato di band internazionali. Ora mi piace incontrare le persone che all’epoca magari non ho avuto occasione di conoscere meglio! Però devo essere onesto, io pensavo che la maggior parte dei tizi di quella scena fosse una banda di poser e di opportunisti falsi! Ha ha ha! Sono davvero il peggior elemento a cui chiedere un giudizio su quel periodo. Mi piacerebbe sentire quelle persone raccontare le storie delle loro vere vite… io non mi sono mai accodato a mode e tendenze di alcun tipo… ho sviluppato delle pessime abitudini negli anni Sessanta: troppa libertà e troppo talento da esprimere!
I Vietnam Veterans sono una vera leggenda – minore, ma una leggenda (li si potrebbe facilmente definire una cult-band). Che sensazione provi pensando che hai formato e influenzato le vite e i gusti di tante persone?
Mi colpisce molto quando mi dicono che le mie canzoni sono state importanti nella vita di qualcuno! Wow! Significa che hanno capito davvero ciò che volevo comunicare. Mi accade abbastanza spesso e mi fa pensare di non avere sprecato il mio tempo. Scrivere e cantare sono stati due strumenti importanti per la mia sanità mentale e sono stati utili anche ad altre persone. Ad esempio una ragazza una volta mi ha detto che You’re Gonna Fall l’ha aiutata a sopravvivere mentre era in prigione. Dio mio! Poi non so se abbiamo influenzato i gusti musicali di qualcuno e non mi interessa per nulla. So che c’è chi fa cover di nostri brani, ma quello che a me preme davvero è il contatto, l’intimità che abbiamo creato con alcuni fan. Siamo diventati gente di famiglia per loro! Un po’ come John Lennon per me era una specie di fratello maggiore, non un idolo musicale.
Vedo che parli dei Vietnam Veterans definendoli spesso una band psichedelica, ma ci sono ovviamente altri ingredienti nella ricetta del vostro sound – un po’ di punk, un po’ di Sixties garage e del rock’n’roll. Poi ho avuto l’illuminazione leggendo una cosa che hai postato nel sito del gruppo: la tua definizione di musica psichedelica, che dice “Non è facile riconoscere la vera musica psichedelica… innocenza, libertà, sincerità, ricordi e infanzia sono solo alcuni dei cardini. Pensateci!”. Puoi elaborare il concetto e parlarmi del tuo approccio alla psichedelia?
L’LSD ti porta a conoscere e far affiorare cose che prima vivevano solo nell’universo del subconscio. Una volta che le scopri, sono facili da interpretare… inoltre cambiano il modo in cui vivi e capisci la tua esistenza. Chi fa musica psichedelica dovrebbe essere una persona originale che non segue nessuno. Ognuno ha la propria storia e le proprie influenze, nella vita. Noti delle somiglianze fra Seeds, Grateful Dead, Kaleidoscope e primi Pink Floyd? No. Però certa gente, che non ha mai avuto un’esperienza lisergica e a cui piaceva il look e le sonorità di quell’era, ha poi utilizzato in modo inappropriato il termine psichedelia per definire molti altri gruppi. Anni dopo è diventato molto di moda e imperativo categorizzare ed etichettare tutto: in questo modo le generazioni posteriori hanno creduto di capire che esiste un sound psichedelico, ma è un malinteso grandissimo, madornale… psichedelia significa accettare ogni influenza e avere il coraggio di mostrarla. Dalle filastrocche per bambini alle ninna nanna, alla musica folk locale, musica classica e rock di ogni tipo. Ed è quello che noi abbiamo sempre fatto.
Perché la band originale si sciolse a fine anni Ottanta? È bizzarro, visto anche che quasi da subito hai continuato a lavorare con alcuni dei componenti dei Vietnam Veterans…
In effetti non è stato un vero addio… tant’è che abbiamo anche inciso del materiale subito dopo esserci sciolti. In realtà abbiamo tenuto fede a una decisione presa anni prima, cioè di scioglierci al quinto album. Poi la formazione era cambiata un bel po’ di volte e tutti avevamo progetti collaterali. Ad ogni modo siamo ancora tutti molto amici e ci vediamo quando ci va. Io, personalmente, dopo avere inciso l’album coi Thyrd Twin, mi ero anche stufato di suonare in un gruppo… prima o poi farò uscire tutte le cose acustiche che ho registrato prima che Lucas Trouble mi chiamasse – anni dopo – per far parte del progetto Gitanes. Comunque durante quegli anni di stop nessuno di noi ha smesso di suonare e Lucas è anche diventato un produttore eccezionale. Insomma, l’attesa è valsa la pena!
Parlami del vostro ultimo album – A Fistful Of Love. Nello store della band viene descritto come “un disco che parla di sesso e frustrazione”…
Ogni mio disco ha un suo umore. La mia vita è molto incasinata e io sento il bisogno di scrivere dei miei sentimenti più nascosti. È il modo migliore per risparmiare sulle parcelle che dovrei pagare a uno psichiatra! Devo dire che il lavoro precedente, Strange Girl, probabilmente mi ha salvato dal suicidio. E non me ne ero reso conto prima di ascoltarlo per intero, con il gruppo al completo, nel mio salotto. A Fistful Of Love è stato una cosa più rapida ed energica. Non ci sono lamenti, pensieri cupi o malinconia. Probabilmente io scrivo sempre di sesso e del concetto di tempo, ma il messaggio di questo disco è: “Non sprechiamo tempo! Facciamo sesso!”. Be’, non è tutto qui, ovviamente, ma diciamo che è il mood principale. Alla fine parlo da sempre dei medesimi argomenti e ho sempre le stesse ossessioni. La musica, comunque, è piuttosto dura e – a differenza di quanto successo nei dischi precedenti – eravamo già pronti a suonare tutti i pezzi live, prima di entrare in studio. Le altre volte, infatti, non avevamo avuto il tempo di fare le prove e potevamo stare poco in studio… ma A Fistful Of Love è un disco inciso da una vera band: significa che ci sono state molte prove e siamo riusciti a registrare velocemente.
L’album è uscito su Nova Express Records, la label legata allo studio di Lucas Trouble: in pratica avete fatto tutto in famiglia. Sei soddisfatto?
In realtà abbiamo scelto di uscire per Nova Express solo perché i nostri amici della Music Maniac hanno smesso. Non avevamo nessuna voglia di metterci a cercare un’etichetta di corsa – e non abbiamo neppure dato il disco a qualche distributore. Chi lo vuole deve comprarlo nel sito della Nova Express, in quello dei Vietnam Veterans oppure ai concerti. Probabilmente il prossimo lo gestiremo diversamente.
Avete qualcosa di nuovo in programma, qualche uscita?
Non saprei rispondere ora… ho dei pezzi in mano, ma non so se li useremo come Vietnam Veterans. Spero con tutto il cuore che accada, anche perché significherebbe che saremo ancora tutti in salute e vivi, per inciderli. Ma non so. Prima voglio terminare il mio doppio album solista acustico. Registrerò quattro pezzi nuovi con l’aiuto di Peter McConnel alla chitarra… è un progetto che ho iniziato a fine anni Ottanta: è quasi ora di fare uscire questa roba!
Hai altre band o situazioni in piedi, a parte i Vietnam Veterans e le tue cose acustiche?
No, a parte questo nulla. Non suono con nessun altro.
Possiamo sperare di vedervi in Italia in futuro? Siete mai stati qui a suonare e – se sì – hai qualche ricordo particolare?
Non abbiamo mai suonato nel tuo Paese. Però di recente mi è venuta voglia di guidare lungo tutta l’Italia, in auto, e andare a prendere un traghetto per la Grecia giù a sud. Perché no? Negli anni Settanta parlavo anche un po’ di italiano. Ad ogni modo, ci piace sempre suonare in posti nuovi! E i miei unici ricordi ed esperienze legati all’Italia sono di natura molto intima!
Hai mai pensato che i Vietnam Veterans meritassero di più, rispetto all’onorevolissimo status di cult band? Hai qualche rimpianto?
A dire il vero negli anni Ottanta eravamo piuttosto importanti e abbiamo venduto un bel po’ di dischi. Di sicuro più di molti gruppi percepiti come “famosi”. Abbiamo suonato in grandi locali e festival importanti e abbiamo avuto la libertà di incidere ciò che volevamo. In tutta sincerità, non mi sarei mai aspettato così tanto… e poi chi se ne fotte dello status? Io non ho mai voluto essere una rockstar!
Oltre alla musica, hai un lavoro, diciamo così, normale? Oppure campi con il tuo gruppo e i tuoi progetti?
Ho un buon lavoro. Sono un tecnico per protesi acustiche nel campo della bioacustica. Ho anche avuto un negozio di dischi per 20 anni… comunque non mi sono mai aspettato di campare solo con la mia musica e sono piuttosto certo che questa sia la ragione per cui sono riuscito a guadagnare un po’ di denaro suonando!
Ho visto online che hai subito un intervento chirurgico, recentemente, alle mani. Cosa è accaduto e come stai ora? Mi pare benone, in realtà, dato che hai già postato dei video in cui suoni la chitarra dopo l’operazione…
Sì! Ho fatto un intervento alla mia mano sinistra. Ha lasciato una bella cicatrice gigante! Dovrò farne uno uguale alla destra più avanti. È una patologia che chiamano malattia di Dupuytren. In pratica un dito si intorpidisce e irrigidisce e lentamente inizia a piegarsi verso il palmo della mano. È una malattia di famiglia, ereditaria… ma riesco già a suonare quindi è tutto ok!